mercoledì 27 gennaio 2021

Recensione: La libraia di Auschwitz - Dita Kraus



Titolo:
La libraia di Auschwitz
Autore: Dita Kraus
Genere: Narrativa storica/contemporanea, Autobiografia
Editore: Newton Compton 
Pagine: 416
Prezzo ebook: € 4, 99
Prezzo cartaceo: € 14, 90
Data di pubblicazione: 7 Gennaio 2021

Una commovente storia vera

«Le memorie di una testimone degli orrori dell’Olocausto.»

A soli tredici anni Dita viene deportata ad Auschwitz insieme alla madre e rin­chiusa nel settore denominato Campo per famiglie (tenuto in piedi dalle SS per dimostrare al resto del mondo che quello non fosse un campo di stermi­nio): quello che conteneva il Blocco 31, supervisionato dal famigerato “Angelo della morte”, il dottor Mengele. Qui Dita accetta di prendersi cura di alcuni libri contrabbandati dai prigio­nieri. Si tratta di un incarico perico­loso, perché gli aguzzini delle SS non esiterebbero a punirla duramente, una volta scoperta. Dita descrive con parole di una stra­ordinaria forza e senza mezzi termini le condizioni dei campi di concentra­mento, i soprusi, la paura e le preva­ricazioni a cui erano sottoposti tutti i giorni gli internati. Racconta di come decise di diventare la custode di pochi preziosissimi libri: uno straordinario simbolo di speranza, nel momento più buio dell’umanità. Bellissime e commoventi, infine, le pagine sulla liberazione dei campi e del suo incontro casuale con Otto B Kraus, divenuto suo marito dopo la guerra. Parte della storia di Dita è stata rac­contata in forma romanzata nel best­seller internazionale La biblioteca più piccola del mondo, di Antonio Iturbe, ma finalmente possiamo conoscerla per intero, dalla sua vera voce.

La vera storia di Dita Kraus, la giovanissima bibliotecaria di Auschwitz, diventata un simbolo della ribellione, finalmente raccontata da lei stessa



Copia omaggio fornita gentilmente da Newton Compton

recensione

Buongiorno a tutti Lettori.
Come sapete oggi è un giorno particolare, la Giornata della Memoria, la data in cui, ormai 76 anni fa, gli inglesi liberarono gli ebrei dal campo di concentramento di Auschwitz e portarono alla luce uno degli orrori più inumani della storia contemporanea. 

Fino a quando non furono diffusi i filmati dell'interno dei campi, non era ben nota la misura della tragedia umanitaria. Nessuno sapeva bene cosa succedesse all'interno dei confini dei lager, neppure i prigionieri stessi avevano delle certezze.
Per mascherare lo sterminio, i tedeschi avevano perfino ideato un "Campo per famiglie" all'interno del Blocco 31, in cui in una delle baracche, il Kinderblock, venivano fatti giocare i bambini, per creare un alibi in caso di ispezioni da parte dei corpi di pace.
Quello che la Croce Rossa non poteva immaginare, è che i bambini erano supervisionati dal così detto "Angelo della Morte", il dottor Mengele, che sceglieva chi mandare nelle camere a gas e selezionava i bambini che avrebbero partecipato ai suoi esperimenti scientifici.
Dita Kraus, la protagonista di questa autobiografia, è una delle poche che superò l'ultima selezione del dottor Mengele, quella per scegliere quali bambini erano adatti a lavorare in un campo normale. Tutti gli altri furono sterminati insieme ai genitori sei mesi dopo.
Credo di aver cominciato a mettere in pausa la mia vita fin dalla più tenera età [...]. Pensavo che, forse, se avessi messo in pausa la speranza e non ci avessi più pensato, un giorno le cose sarebbero andate a buon fine.
Dita è solo in terza elementare quando si imbatte per prima volta nel termine "ebreo". E' il 1938 e Hitler è appena salito al potere in Germania.
Dita è nata e cresciuta in Cecoslovacchia, parla ceco e la sua famiglia non ha mai partecipato ad una cerimonia religiosa, ma secondo le Leggi di Norimberga lei è un'ebrea. La protagonista non capisce bene cosa significhi quella parola, ma i suoi genitori le fanno capire che non è una cosa bella e un anno dopo, nel 1939, inizia a vederne i segni concreti sulla propria pelle.
Il padre viene licenziato, la loro casa viene requisita, viene vietato loro ci prendere mezzi pubblici e sono obbligati a portare una stella gialla cucita sui vestiti.
Infine il colpo più duro, il 1 Settembre 1940, viene proibito loro di tornare a scuola. Questo proietterà Dita in una realtà di circoli clandestini di istruzione e lezioni segrete che riproporrà insieme ad altri ragazzi all'interno dei campi di sterminio.

Decine e decine di restrizioni dopo, tocca alla famiglia di Dita partire con uno dei convogli ed essere deportati ne ghetto di Terezin, nel Novembre 1942. Anche qui l'istruzione è assolutamente proibita ed avviene di nascosto, dopo che gli adulti hanno finito di lavorare. Non c'è un programma ben preciso, si studia tutto quello che si può, compresa l'arte. I disegni e le poesie dei bambini di Terezin sono oggi famosissimi perchè raccontano la Shoah dal punto di vista di chi non capisce bene cosa sta succedendo, ma offre una testimonianza della realtà percepita attorno a sé. Come dirà la protagonista del romanzo, non sono un ultimo atto eroico di chi sa che andrà a morire, ma una testimonianza della vita e dell'infanzia che esiste nonostante tutte le privazioni.
Terezin però è solo l'inizio e nel Dicembre 1943 la famiglia di Dita viene mandata a Auschwitz.
Fummo sopraffatte da un senso di impotenza e sconforto. A quel punto decidemmo di morire. Avevamo raggiunto la disperazione più totale. Non ci era rimasto un barlume di speranza e non volevamo più vivere. Eppure non c'era modo di suicidarsi; non avevamo armi, né corde, né coltelli. Dovevamo andare avanti.
73.305 è il primo tatuaggio della vita di Dita, avvenuto a 14 anni, ed è il suo numero di matricola nel campo di sterminio.
Nel racconto l'autrice parla di una disperazione inimmaginabile, uno sconforto senza fine. Talmente profondo da spingere i prigionieri a contemplare il suicidio; ma non c'è nulla all'interno del campo che permetta loro di porre termine alla sofferenza. L'ennesima violenza, l'ennesima privazione di un diritto estremo, come quello del togliersi la vita, che ci proietta nella realtà di soprusi e sofferenza che vivevano i prigionieri.
Nelle pagine che seguono vengono trattati passo passo tutti gli aspetti della vita del campo, dai lavori forzati, alle condizioni igieniche più che precarie, dalla malattia alle prime perdite. Ma si parla anche del Kinderblock e degli adolescenti, tra cui Dita, che scelgono eroicamente (questa volta sì) di spendere i loro ultimi giorni educando di nascosto i bambini e conservando in una biblioteca segreta di cui l'autrice è stata la custode tutti i libri che riescono a racimolare  clandestinamente.
La maggior parte del personale del Kinderblock era composta da uomini e donne appena ventenni. Erano consapevoli di andare incontro alla morte ed erano terrorizzati. Eppure trascorrevano ciò che restava dei loro giorni con i bambini, creando per loro una sorta di rifugio in mezzo a quell'inferno. Ai miei occhi, furono loro i veri eroi di Auschwitz.
Quando arriva l'ordine di chiudere il Campo per Famiglie, Dita e sua madre riusciranno a superare la selezione del dottor Mengele e cambieranno diversi campi di lavoro fino ad arrivare a Bergern-Belsen, dove conosceranno l'apoteosi della fame, prima di essere liberate. Le SS tedesche, infatti, abbandoneranno il campo di fretta e furia, non scordandosi però di chiudere tutti gli approvvigionamenti d'acqua, sperando così di cancellare ogni traccia del massacro.
L'autobiografia continua a raccontare la vita dell'autrice ben oltre la Shoah e ci mostra anche la conseguenze psicofisiche che essa ha avuto sui sopravvissuti e sui discendenti dei sopravvissuti.
Negli anni si è un po' perso il significato della Giornata della Memoria, che è stata ridotta ad una data storica in cui riempirsi di un orrore superficiale e passeggero. Ma avere Memoria significa essere spinti all'azione per correggere le ingiustizie che stanno accadendo oggi.

Libri come questo sono scomodi per il lettore, ma necessari. Sbattono in faccia la realtà e stracciano i veli (forse di difesa) con cui il nostro cervello cerca di ammantare questi fatti per tutto il resto dell'anno.
Credo sia giusto, anzi credo sia doveroso lasciarglielo fare, non sfuggire a queste emozioni ed anzi accoglierle per capire, commemorare e farci spingere all'azione.
Questo libro ci serve. Ci servono le descrizioni fisiche di cosa vuol dire avere fame e morire consumati. Ci serve capire com'era la quotidianità nei campi. Ci serve comprendere cosa ha lasciato l'Olocausto nella vita dei sopravvissuti.
Ci serve perché tutto questo si sta ripetendo sotto i nostri occhi e ancora una volta non stiamo facendo nulla per fermarlo.
Edith Bruck, un'altra sopravvissuta scrisse: "Noi sopravvissuti della Shoah siamo inchiodati: vorremmo liberarci dal peso insopportabile di ciò che è stato e invece siamo costretti a riviverlo ogni volta. Delegati a testimoniare da chi avrebbe avuto il dovere di evitarcelo [...]. Una vera follia"
Non deleghiamo più, non perdiamo la Memoria mai.

Non vedo l'ora di conoscere la vostra impressione sui nostri social, dal canto mio vi parlerò di un altro libro riguardante la Shoah prossimamente nella speranza di dare un po' più di attenzione al tema.
Alla prossima recensione





VOTO:
Ora non devo più attendere... che la guerra finisca, che ci liberino, che io mi sposi, che nasca mio figlio, che arrivino più soldi, che l'anno scolastico finisca, che giunga la pace...
Non devo più mettere in pausa nulla; ora sono tornata al passo con la mia vita

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