Titolo: L'ultima Ricamatrice
Autore: Elena Pigozzi
Genere: Narrativa contemporanea
Editore: Piemme
Serie: autoconclusivo
Pagine: 176pp
Prezzo: 9,99 € edizione digitale - 15,50 € edizione cartacea
Data di pubblicazione: 8 Settembre 2020
Appoggiata ai bordi del bosco, sulla via che dal paese va verso le montagne, c'è una piccola casa solitaria: è qui che vivono le ricamatrici. Ora è rimasta Eufrasia a praticare l'arte di famiglia, tesse, cuce, ricama leggendo in ogni persona che le si rivolge i desideri più inconsci. Accanto a lei come prima alla bisnonna, alla nonna e alla madre, da sempre, il telaio di ciliegio, rocchetti, stoffe, spole e spilli. Eufrasia ha settant'anni e ha quasi smesso di lavorare, le mani curvate dall'artrite e la modernità in cui tutto è fatto in fretta le avevano fatto pensare di non servire più a nessuno. Ed è in quel momento che arriva Filomela, una ragazza giovane con il riso negli occhi oltre che sulle labbra, che le chiede di prepararle il corredo e di insegnarle a ricamare. Eccola, l'ultima occasione di fare ciò che Eufrasia più ama: rendere felice qualcuno, raccontargli la vita che verrà intrecciando trama e ordito. Le parole che ha risparmiato per tutta l'esistenza ora sgorgano come fiumi in primavera. Racconta di una giovane vedova di guerra gentile ed esperta nel taglio e cucito, di una splendida e coraggiosa ragazza troppo bella per non attirare le malelingue di paese, di un amore delicato come il filo di lino e tanto sfortunato, e di un ricamo tessuto da generazioni, in cui ognuna di loro ha scritto un pezzo della propria esistenza, una scintilla luminosa nel buio del mondo. Elena Pigozzi in questo romanzo ci fa vivere cento anni di storia in un battito di ciglia, a volte vento leggero e luminoso, altre cupo e foriero di sventura. Tante vite si intrecciano in queste righe, tanti amori, ma soprattutto l'amore per la vita stessa e per un'arte millenaria che sono la vera eredità dell'ultima ricamatrice.
Copia omaggio fornita gentilmente da Piemme
recensione
Esiste una similitudine tra il ricamo e la scrittura. Potente ed evidente. Ricamare è di sicuro un po’ come scrivere: ad un tratto il bianco candido prende forma e colore.
Il telaio è come una penna oppure una piuma di un vecchio calamaio che lascia una traccia indelebile sul foglio immacolato. Il telaio è visto come lo strumento per dar vita a qualcosa di nuovo, di intenso e di magico.
Silenzio e voci. Fare spazio dentro e farci entrare la luce, il vento, le nuvole. Farci entrare la vita che è fatta di gesti che si rincorrono e si perdono. Che si rinnovano e che tornano in uno sguardo, un volto, un suono.
L’ultima ricamatrice di Elena Pigozzi è un romanzo particolare e molto intenso. Il racconto inizia con la storia di Clelia e si chiude con quella di Filomela. Il filo conduttore è il ricamo, il modo in cui le ricamatrici tessendo la tela danno un senso al tessuto che hanno davanti agli occhi e in maniera naturale creano abito ricchi di storia. Piano piano ricamando la tela, la nostra ricamatrice racconta la sua vita e quelle di altre ricamatrici tracciando un unico continuum narrativo.
La potenza evocativa del romanzo è qualcosa che lascia senza fiato, ho letto tutto senza mai staccare gli occhi dalle pagine. Mai successo prima!
Difficile parlare di quanto nasce nella carne e non ha parole, ma altre forme. Difficile dire ciò che porto dentro da anni e proteggo da ciò che potrebbe rovinarlo. Se penso a quando è stato che mi sono innamorata, ricordo uno sguardo, un gesto, un volto che mi dice una frase, ma bene com'è stato non lo ricordo più.
La Pigozzi afferma che il romanzo nasce inseguendo la voce di un personaggio e questo è evidente dalle lettere che danzano veloci e danno forma a parole ricche di significato. Vediamo ed esperiamo il Mondo di Eufrasia: le sue tele, le mani che scorrono veloci e la meraviglia della sua casa nel bosco, un paesaggio incantato che sembra uscito da una favola.
Perché c’è un linguaggio muto, che si ascolta con gli occhi e con la pelle. Un linguaggio che grida ma che non trova frasi per farsi suono. Lì sentivo i profumi dei fichi e dei bignè al cioccolato. Lì scoprivo un mondo che non aveva ancora visto la luce, ma che era mio. Il muoversi del sangue a incrociare lo sguardo del maestro. L’agitarsi del battito ascoltando la sua voce. Il pulsare della carne. Il martellare del cuore nelle tempie.
Le ambientazioni sono qualcosa di meraviglioso, il tempo del romanzo sembra dilatato, la bellezza dei telai antichi, i luoghi da sogno quasi irreali dove si svela davanti ai nostri occhi la magia di un passato fatto sì d’amore ma fatto anche di guerra, dolore e sofferenza.
Libero, il nome di mio figlio. Libero perché il suo destino è di avere braccia capaci di spiccare il volo. Libero perché sarà libero nel luogo che riconoscerà come casa. Libero di andare, restare, tornare.
A questa magia si abbinano perfettamente i singoli personaggi.
Se la voce di Eufrasia sovrasta le altre per l’urgenza di raccontarsi, non sono meno importanti le voci che si intersecano con la sua.
Eufrasia è dolcezza e determinazione.
«Ciascuno di noi fa l’esperienza della caduta» le confermo, perché la sua voce mi ha raccontato ciò che la sua lingua non dice. «Si cade a terra perché ci ricordiamo che è da lì che proveniamo. Ed è lì a cui siamo destinati.»
Clelia, sua nonna, invece è il simbolo della fragilità e della tenacia. La sua bellezza è stata la sua condanna. Ha subito il peggiore dei torti, ha gettato la spugna e si è arresa e poi si è rimessa in piedi. Clelia è la rinascita e la speranza che il dolore possa poi portare a qualcosa di bello.
“Ci vogliono carezze dove altri affondano la lama. Ci vogliono lacrime a lavare ogni grumo salato. Ci vogliono parole piane e lievi a togliere il rumore del cuore che sbatte nelle tempie.”
Miriam è la figlia di Clelia ed è il simbolo della purezza e dell’innocenza. Tutto quello che Clelia non ha ricevuto dalla vita, viene donato a Miriam. Un amore puro e delicato. Una vita fatta di piccole conquiste e di amore.
L’ultima protagonista è Filomela. Di lei sappiamo solo che ama ricamare e chiede ad Eufrasia di poter ricamare con lei ed imparare i suoi segreti. Non è una donna di molte parole ma sa ascoltare. C’è un’urgenza in Filomela che buca il foglio ed arriva forte fino a noi che siamo dall'altra parte: vuole ascoltare il racconto di Eufrasia, il suo desiderio di conoscenza è qualcosa che emerge potente e solo alla fine noi lettori comprendiamo il perché. Ho amato questa rivelazione perché ha messo in scena una chiusura romantica e praticamente perfetta!
Filomela è la verità, la positività e la gratitudine.
«Poco si ottiene senza fatica, Filomela. Nulla è facile, è legge di vita. Forse perché il gusto dell’essere creature sta in questo: nella conquista, nel sapore dello sforzo, nel colore del viaggio che ci ha portato a ottenere ciò che abbiamo chiesto, pregato, invocato.»
La vera forza del romanzo è la scrittura. Non è poi così ovvio che chi scriva libri sia capace e bravo nella stesura di un suo scritto. Elena Pigozzi è brava, ha uno stile unico. Bellissimi i dettagli sull'arte del ricamo che lasciano intendere che l’autrice abbia studiato a fondo questa arte antica, le origini e la storia della filatura. Ottima la caratterizzazione di tutti i personaggi letti ed il modo in cui si incrociano tra di loro. Meraviglioso è il rapporto tra lo spazio ed il tempo, tra la resa e la rinascita e tra il dolore e la speranza. La speranza è il fulcro dell’Ultima ricamatrice, queste donne in epoche diverse non sono semplici spettatrici, deboli o sottomesse al fato avverso ma artefici del loro destino.
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