Buon pomeriggio favolosi Lettori Accaniti!
Oggi vi proponiamo le due parti de "Il Suono Sacro di Arjiam", della saga fantasy di Daniela Lojarro, Il Risveglio di Fahryon.
Titolo: Fahryon. Il suolo sacro di Arjiam. Parte prima
Autore: Daniela Lojarro
Genere: Fantasy Classico
Editore: GDS
Pagine: 290
Prezzo: € 2,46 (ebook)
€ 15,90 (cartaceo)
Data di pubblicazione: Luglio 2015

Dopo secoli
di pace e prosperità per il regno di Arjiam si profila una terrificante
minaccia: il nobile Mazdraan, affascinante e astuto Primo Cavaliere del Re,
contravvenendo a tutti i divieti imposti a suo tempo da Sahrjym, pratica la
Malia con cui, all’avverarsi di determinate condizioni, potrà ottenere
addirittura il controllo assoluto delle vibrazioni del Suono Sacro, il divino
principio creatore di tutto l’universo. Il compito di ripristinare l’equilibrio
della magia e d’impedire che il Mondo creato precipiti nel caos, spetta alla
giovane Fahryon, neofita dell’Ordine sacerdotale dell’Uroburo, il cui cammino
sembra casualmente incrociarsi con quello del nobile Mazdraan, dell’anziano
Magh del Conclave Tyrnahan, tenace e irriducibile avversario del Primo
Cavaliere, e dell’ingenuo e valoroso Cavaliere Uszrany. Le
difficoltà con cui saranno messi a confronto durante la lotta per il possesso di
un magico cristallo e del trono del regno, permetteranno ai due giovani di
crescere e di diventare consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità
in questa guerra per il potere sul mondo e sugli uomini.

L'estate volgeva al termine ma il sole
dardeggiava ancora su Tuhtmaar, la capitale del regno di Arjiam. L'acqua
scorreva lenta nel letto dei due fiumi, il Suszray e il Whahajam: sembrava
adattarsi al ritmo sonnolento di quel pomeriggio afoso trascinandosi pigramente
in mezzo alle canne, aggirando rocce e massi per lambire le rive con un debole
sciabordio. A un tratto, la fiacca di quelle ore torride fu percorsa da un
tremito e poi da una vibrazione d'energia mentre nel cielo si stagliava la
sagoma di un'aquila del deserto. Il rapace sorvolò le residenze delle nobili
Famiglie di Arjiam, volteggiando più volte sui lussuosi padiglioni del palazzo
ter Hamadhen per poi dirigersi al Santuario del Suono Sacro sull'isola in mezzo
al fiume Suszray. L'aquila penetrò nel cuore del Santuario e si posò sulla
pietra di luna sospesa sulla grande vasca sacra, restando immobile, come in
attesa, con gli occhi chiusi. Quando una voce di donna si elevò con dolcezza
ipnotica da una delle otto cappelle del Santuario, l’aquila, spalancati gli
occhi, girò il capo per fissarne l'entrata. La Magh, attratta da una consonanza
incomprensibile e ignota, uscì indugiando però sulla soglia nello scorgere il
rapace. Soggiogata dalla forza di quello sguardo magnetico, andò a collocarsi
sotto la pietra di luna della piscina sacra, tramutando l'inno del
raccoglimento in quello della contemplazione. Il canto acquisì vigore
animandosi in un ritmo sempre più frenetico, mentre l'enorme gemma iniziò a
vibrare. L'acqua della vasca sacra prese a ruotare rapidamente, innalzandosi in
un vortice che, avvolta completamente la donna, giunse a sfiorare la pietra di
luna. La voce della Magh fu incrinata da un tremore d'indecisione. Avrebbe
desiderato con tutta se stessa abbandonarsi a quelle vibrazioni magiche; ma
aveva promesso al suo compagno di non compiere più alcun rito per non mettere
in pericolo la vita che portava in grembo. La donna tentò di smettere ma gli
occhi dell'aquila tornarono a scrutarla. Il Suono Sacro, la vibrazione che
aveva dato vita a tutto il Mondo e che lo animava, non avrebbe mai potuto
essere pericoloso per la sua creatura. Rassicurata da quel pensiero che
l’aquila pareva averle suggerito, Xhanys dispiegò la sua voce nelle sillabe
arcane dell'inno sacro: affrontò con sicurezza le luminose note acute per
sprofondare poi nel baratro vellutato e tenebroso di quelle gravi, cedendo al
sentimento di piacere e d'ebbrezza che la stava invadendo. Suono e Silenzio,
Luce e Oscurità, si cancellarono nella sua percezione e Xhanys si disciolse
nella vibrazione della sua Armonia unita al Suono Sacro. L'aria si accese di
lampi azzurrognoli e un improvviso scoppio agghiacciante la fece barcollare. La
donna, sconvolta dalle immagini che sorgevano dal Tempo che sarebbe venuto,
lanciò un urlo di terrore: l'incantesimo s'infranse, l'acqua di colpo ricadde
in onde scomposte e l'aquila, dopo aver lanciato uno strido, svanì.

It’s not always necessary to be strong, but to feel strong.
Titolo: Il risveglio di Fahryon. Il suolo sacro di Arjiam. Parte seconda
Autore: Daniela Lojarro
Genere: Fantasy Classico
Editore: GDS
Pagine: 314
Prezzo: € 2,49 (ebook)
Data di pubblicazione: Dicembre 2015
Fahryon, neofita dell’Ordine
dell’Uroburo, fugge dalla capitale del regno di Arjiam insieme ad Uszrany,
cavaliere dell’Ordine del Grifo, per evitare di cadere nelle mani del potente
nobile Primo Cavaliere del regno, il nobile Mazdraan, segretamente adepto della
Malia, l’insidiosa magia legata al Silenzio e al Vuoto.
Tuttavia, durante la precipitosa fuga, il nobile
Mazdraan cattura Uszrany; Fahryon, invece, è tratta in salvo da Vehltur, un
misterioso Magh. Mentre Uszrany, prigioniero del nobile Mazdraan, scopre
sconcertanti segreti sulla storia del regno e impara a convivere con i fantasmi
del suo passato, Fahryon, sotto la guida di Vehltur, inizia il cammino
iniziatico che, prova dopo prova, la prepara al confronto con il suo
avversario, il nobile Mazdraan.

Il tumulto che udiva e che provava
cessò. Fahryon, stordita da quell'improvvisa calma, attese qualche istante con
il cuore che batteva all'impazzata; poi, rialzò cautamente il capo, trattenendo
il fiato per lo spavento e per lo stupore.
Tranquillamente accovacciato al
centro di una grotta ottagonale, un enorme drago, dal corpo ricoperto di squame
lucenti e iridescenti, la stava squadrando con un'espressione di divertimento
misto a insofferenza.
Era un'assurdità, un parto della
sua fantasia: i draghi esistevano solo nelle saghe, nelle leggende e nelle
favole, tentò di convincersi Fahryon.
Nonostante la rassicurante logica
di quella constatazione, però, non riuscì a scacciare l'inquietudine che quel
mostro le procurava.
Il drago scosse la testa con
disappunto distendendo le smisurate ali per qualche istante; poi, si sollevò
sulle zampe posteriori.
«Non esiste davvero? Ne sei
certa?», chiese la voce in tono sinceramente stupito.
Il mostro parve sogghignare, emise
dal naso un sibilo d'indignazione e uno sbuffo di fumo avvolse completamente
Fahryon, facendole lacrimare gli occhi e soffocandola con il suo acre odore di
zolfo.
Il drago esisteva davvero e Fahryon
doveva trovare il modo per andarsene da lì, al più presto.
«Questo posto appartiene al drago e
solo lui può concederti di uscirne. Prova a chiedergli d'indicarti la via»,
rispose la voce con ironia.
Fahryon osservò il drago con
scetticismo: dubitava che quel mostro sapesse usare il cervello oltre alle
mandibole.
Il drago, offeso, portò il muso
all'altezza del suo viso e le scoccò un'intensa e feroce occhiata: sibilò
pericolosamente soffiando spire di fumo dalle nari, che si avvolsero su se
stesse come tanti serpentelli. Fahryon trasalì, costretta ad ammettere che il
drago non solo era capace di pensare ma anche di leggere i suoi pensieri.
L'animale, soddisfatto, riprese la
sua iniziale posa solenne e rimase immoto a scrutarla con i suoi occhi neri e
profondi, muovendo solo di tanto in tanto la coda con indolenza.
«Se imparerai a conoscerlo, non
dovrai più averne timore», la rassicurò la voce.
Benché titubante e diffidente,
Fahryon sollevò lo sguardo e, incrociato quello terribile del drago, lo fissò a
sua volta rimanendone ipnotizzata, mentre rivoli di sudore freddo le colavano
giù per la schiena.
Gli occhi del drago la scrutarono,
indagatori e implacabili poi, come delle fiere che avessero fiutato la pista di
una preda, si gettarono su di lei. Fahryon, terrorizzata, scappò per sottrarsi
ai fuochi seducenti e sfolgoranti che volevano sondare la densa e profonda
oscurità del suo animo e che la inseguivano senza posa. Nell'istante stesso in
cui quegli occhi la ghermirono, Fahryon non riuscì più a distinguere il mostro
da sé e, come se per un attimo fuggevole fossero diventati un essere solo,
l'istinto violento dell'animale la pervase, facendo scorrere più velocemente il
sangue nelle sue vene e accendendo in lei un intenso brivido di vitalità. Sentì
allora il suo tremito di paura tramutarsi nel senso di trionfo e di eccitazione
del drago per averla in suo potere e si ribellò incalzandolo a sua volta con
ferocia. Poco dopo, i ruoli s'invertirono nuovamente e poi ancora, in
un'alternarsi estenuante di trepidazione ed ebbrezza, finché Fahryon si
accasciò a terra stremata e ansante, incapace di comprendere dove quel folle
inseguimento avesse realmente avuto luogo: ricordava però di aver già provato
quel genere di sentimenti e di emozioni.
«Quando?», domandò la voce.
La giovane donna scosse la testa:
non lo sapeva ...
«Non lo sai? Ne sei certa ...
Fahryon?», chiese la voce.
Fahryon alzò di scatto il capo:
quella voce l'aveva chiamata Fahryon.
Nella sala, fastosamente decorata e
affollata di spettatori elegantemente vestiti, si diffondeva la musica accorata
e malinconica del canto della regina Elavnys. Nella sua mente poco per volta le
note del canto si affievolirono fino a spegnersi.
Fahryon!
Quel nome l'aveva destata dagli
inganni della Malia di Kahvjai!
Poi, lei lo aveva ucciso con la sua
Armonia ed era in quell'istante che aveva provato la stessa eccitazione del
drago!
Quando aveva affrontato il Reggente
uccidendolo, le si era svelata una parte di sé che agiva per istinto e che non
era stata in grado di controllare. C'era una parte oscura di sé, nella quale
non era mai stata costretta a guardare e che, nel momento del pericolo, era
affiorata con prepotenza in superficie; ma era in essa che aveva trovato la
forza per difendersi e per distruggere. Ne aveva provato un tale terrore da
decidere inconsapevolmente di negarla, di cancellarla del tutto.
Fahryon alzò lo sguardo e incontrò
gli occhi enigmatici del drago e, per la prima volta, non provò disagio. Il
drago allargò maestosamente le ali e la fissò agitando vigorosamente la lunga e
possente coda, mentre emetteva sibili sempre più minacciosi.
Fahryon lo osservò pensierosa. Al
mostro sarebbe bastato puntare contro di lei uno solo dei suoi artigli per
annientarla, ma non l'aveva ancora fatto. Una ragione doveva pure esserci.
«Quale è il significato
dell'Uroburo, Fahryon?», le domandò la voce.
L'Uroburo era il simbolo
dell'eterno fluire del Tempo, della continuità della vita e del mondo creato:
nel cerchio dell’Uroburo Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, Vita e Morte
nascevano uno dall'altro e non sarebbero mai esistiti uno senza l'altro. Il
Magh doveva penetrare nel nucleo, in apparenza vuoto e oscuro, dell'Uroburo per
giungere alla Conoscenza del Mistero del Suono Sacro, dove gli opposti si
conciliavano nell'Unità del molteplice.
Fahryon tornò a fissare il drago
che la osservava con espressione subdola, mettendo in mostra le sue zanne
acuminate. Il mostro avanzò di alcuni passi, facendo tremare il terreno sotto i
suoi piedi, fino a incombere minacciosamente su di lei. Fahryon, soffocata e
spaventata dall'intensità dell'odio e dell'ira che sentiva ribollire dentro lo
sguardo minaccioso del drago, tentò di sottrarvisi ma non vi riuscì. Allora
comprese.
Negli occhi terrificanti del drago
vedeva riflessi i sentimenti brutali e violenti che si agitavano in lei. Suono
e Silenzio, Luce e Oscurità: quello era l'Uroburo e lei doveva accettare che
quegli opposti facessero parte di lei e cercare di metterli in equilibrio.
«Dove ti hanno condotto le scelte
che hai compiuto, Fahryon?», chiese la voce.
La scelta di negare una parte di se
stessa per non soffrire l'aveva portata nel labirinto del Vuoto; quella di
ascoltare le voci che parlavano al suo cuore in quella grotta, custodita dal
drago.
La giovane donna lasciò scorrere lo
sguardo attorno a sé.
I draghi nelle leggende vegliavano
sui tesori ma lì non c'era assolutamente nulla all'infuori di lei e lei non
possedeva nulla di più prezioso oltre se stessa.
Quella grotta era dunque il suo
cuore!
Ognuno compiva le sue scelte
determinando il suo cammino: lei nel giardino delle erbe profumate aveva scelto
e poi, al Santuario, aveva riconfermato il cammino della Conoscenza, causando
involontariamente la rovina della sua famiglia. Era un essere umano, aveva dei
limiti e non poteva combattere contro la volontà e le scelte del nobile
Mazdraan. Ora comprendeva che nemmeno la confessione di Tyrnahan avrebbe mai
potuto distogliere il padre di Uszrany dal cammino che lui si era scelto e che
perseguiva con determinazione. Nessuno avrebbe mai potuto salvare la sua
famiglia, anche se lei lo aveva creduto possibile. Anche Kahvjai aveva scelto e
ora Fahryon sapeva di non averlo ucciso con la sua Armonia: il Reggente,
ricusando in punto di morte il Mistero del Suono Sacro per il Silenzio e
l'Oscurità, aveva compiuto la sua scelta determinando la sua condanna per
l'eternità.
«Tu hai ancora la possibilità di
scegliere, Fahryon, ma questa volta la tua scelta sarà definitiva», l'ammonì la
voce.
La giovane donna trasalì
riconoscendo finalmente la voce di Tyrnahan.
«Sì, sono io, Fahryon», confermò la
voce dolcemente. «Solo ora anche io ho compreso: il Suono Sacro, tramite le
parole di Xhanys, mi aveva indicato la via ma io l'avevo frainteso. Il mio dono
era per proteggerti da Kahvjai e poi per accompagnarti alla grotta di questo
drago conducendoti sul cammino della memoria: così, insieme abbiamo potuto
smantellare il Vuoto nel quale avevi chiuso il tuo cuore carico di dolore. Ma
se tu non avessi sondato le profondità del tuo animo prendendo consapevolezza
anche dell'esistenza del tuo lato oscuro, non avresti mai potuto trovare
l'equilibrio con te stessa necessario per dominare l'Armonia. Però, sei tu che
devi scegliere di uscire da questa grotta affrontando il drago», la ammonì con
gravità. «Rifletti su ciò che provi e cosa vedi quando i tuoi occhi s'immergono
in quelli del drago, Fahryon», la esortò.
La giovane donna gettò
un'intimorita occhiata al drago che, immobile al centro della grotta, la
fissava enigmatico. Di fronte alla sua incertezza, l'espressione misteriosa
negli occhi del drago si tramutò poco per volta in una selvaggia, carica di
primitiva forza ferina. Tutto l'iridescente corpo del mostro fremette, scosso
dal desiderio d'impadronirsi di lei e, pregustando il sapore del suo trionfo,
iniziò ad avanzare determinato. Fahryon arretrò terrorizzata interrrogandosi
freneticamente su cosa avesse visto quando era riuscita a sua volta a scrutare
nell'immensità di quegli abissi.
«Fahryon!», esclamò ad alta voce
con esultanza.
Il drago si bloccò sorpreso.
«Tu sei me, tu sei la forza e
l'istinto che si celano nel cuore d'ogni essere umano, che incessantemente si
generano, si distruggono e si rigenerano», gridò in tono vittorioso ed
ergendosi con sfida per affrontarlo un'ultima volta. «Riconoscendoti per quello
che sei, ti ho domato e non ti temo più. Tu non mi annienterai e non ti
servirai di me per distruggere, ma io attingerò alla tua forza per creare,
drago, perché ormai tu mi appartieni».
Il drago sollevandosi sulle zampe
posteriori spalancò le immense ali, ruggendo la sua rabbia per essere stato
soggiogato. Con un fragore, che fece rimbombare la grotta, ripiombò a terra e,
dimenando la coda, sibilando furioso nel vedersi sfuggire la preda, si protese,
eruttando fuoco dalle fauci e soffiando contro di lei, in un ultimo disperato
tentativo di non essere sottomesso.
Fahryon fissò con determinazione
gli occhi del drago che brillavano di uno sfavillio sanguinario, consapevole
che, se in quell'istante il minimo dubbio o timore avessero incrinato la sua
conoscenza, il drago ne avrebbe approfittato a suo vantaggio. Con voce stanca e
appannata, intonò l'inno sacro della contemplazione più profonda, che ora
poteva sentire risuonare attorno a sé e dilagare nel suo animo e nel suo cuore
con esultanza, annullando ogni affanno e apportandovi nuovamente la gioia della
consapevolezza di esistere.
Il Suono Sacro del Mondo la
accolse, avvolgendola nella Sua Vibrazione vivificante. Fahryon, abbandonandosi
fiduciosa a Esso, ne trasse nuova forza e sicurezza per continuare a cantare e
il drago lentamente si dissolse nella calda polla d'acqua sorgiva del
Santuario, inondata dalla rosea luce dell'aurora.
Il suo viaggio era compiuto: Fahryon era rinata sbocciando al calore del
sole dell'Astahzar, il Risveglio del Mondo, l’equinozio di Primavera.
We all have an unsuspected reserve of strength inside that emerges when life puts us to the test.
Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi
classici e musicali (canto e pianoforte), vince alcuni concorsi internazionali
di canto che le aprono le porte fin da giovanissima a una carriera
internazionale sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli U.S.A., in Sud
Corea, in Sud Africa nei ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda in Rigoletto e
Violetta in Traviata.